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Sonetti del 1832 291

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L'AVARO INGROPPATO

  Nu lo posso soffrillo, nu lo posso:
Me fa vvienì li frauti[1] da l’abbìla.[2]
È ricco-maggna,[3] e ttiè un landàvo[4] addosso
Che dde li bbusci n’averà ssei mila!

  Lui, pe’ ffà er brodo, drento in de la pila
Sai che cce bbulle oggni matina? un osso.
Mette er vino in dell’acqua pe’ ttrafila,[5]
E ppe’ ingannà la vista addopra er rosso.

  E ccià ddu’ viggne poi, du’ svojjature,[6]
Che ggireno tre mmijja in tonno in tonno:
Tiè una bbella ostaria for de le mure:

  E mmó ha ccrompato da padron Rimonno
Cuer gran negozzio suo de le vitture
Pe’ Ttivoli, Subbiaco,[7] e ttutto er monno.[8]


Roma, 27 dicembre 1832

  1. Flati.
  2. Bile.
  3. Ricco magno.
  4. Abito: termine preso scherzevolmente da landau, landò, specie di vettura.
  5. Sottilmente.
  6. Due svogliature, due miseriole: ironia.
  7. Terra presso Tivoli, ov’è il celebre eremo di S. Benedetto.
  8. Specie d’iscrizione non infrequente in Roma.
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