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23 Sonetti del 1832

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LE MEDÉME.

2.

  Appena ebbe sentita la Madonna
Pregallo a vvennemmià senza un rampazzo,[1]
Ggesucristo, che ancora era regazzo,
Soffiò istesso ch’er[2] zasso d’una fionna.

  Poi disse incecalito:[3] “Eh quela donna,
Voi de sti guai che vve ne preme, un c....?
Che cce penzi er padrone der palazzo,
E nnun vadi a ccercà cchi jje li monna.[4]

  Pe’ ddà la cotta a cquarche bbeverino[5]
Che vvorà ppasteggià le callaroste,[6]
Io ho da fà er miracolo der vino?!

  Che?! M’hanno da toccà ggià tante groste,[7]
Senz’annamme accattanno cór cerino
Puro[8] mó st’antra odiosità dell’oste!„

13 gennaio 1832

  1. Grappolo di uva.
  2. [Lo stesso che: come.]
  3. [Accecato dall'ira.]
  4. [Glieli monda.] Questo verbo significa qui: “togliere la cura, il pensiero, la fatica.„ [Cotta poi significa, come nell'uso toscano, "sbornia., Ma qui c'è anche l'equivoco col senso più ovvio della cotta de' preti.]
  5. Procurare di inebriarsi a’ bevitori.
  6. [Calde-a-rosto: le bruciate.]
  7. Colpi.
  8. [Pure, anche.]
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