< Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

Sonetti del 1833 405

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:415|3|0]]delle nerbate variava secondo i casi (per esempio, nell’editto 30 luglio 1855 del cardinale Antonelli, vanno da quindici a trenta), alcuni, scherzando, dicevano che le ultime erano date per conto della Beneficenza, o dell’aguzzino, o d’altri. E il curioso è che molti lo credevano davvero.]

ER PAPA CAPPELLARO

  Bbenedetto sia sempre quelle scianche[1]
Che cce portorno er Papa Cappellaro!
Ammalappena ch’io sentii lo sparo,[2]
Disse: ecco a Rroma le gabbelle franche.

  Ce l’ha mmannato[3] un angiolo! e cquann’anche
Nun fossi[4] bbono de trovà un ripparo
A li guai nostri, è ssempre un Papa raro
Più dd’un bon oste e dde le mosche bbianche.

  Suda frascico,[5] e ppiaggne, e sse dispera,
Arrocchia[6] editti, e impasta, e inforna e sforna,
Pe’ bbuttà ttutto ggiù cquello che cc’era.

  Ma, oh ddio, vò rrinunzià! cchè nnun je torna[7]
De fà sta vita da matina a ssera,
Pe’ ccosa poi? per avé mmazza e ccorna.[8]


Roma, 2 febbraio 1833


  1. Gambe.
  2. Del Castello, annunziatore della elezione.
  3. Mandato.
  4. Fosse.
  5. Fracido: suda a profluvio.
  6. Arrocchiare: fare con abbondanza e precipitazione alla meglio o alla peggio.
  7. Tornare: in questo senso vale: “trovare il suo conto.„
  8. Danno e scorno.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.