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406 Sonetti del 1833

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ER TEMPO BBONO

  Ah,[1] nnun è ggnente: è un nuvolo che ppassa.
Eppoi nun zenti che nnun scotta er zole?[2]
Eppoi, come a mmé er callo nun me dole
Nun piove scerto. Ah,[1] è una ggiornata grassa.

  Mentre portavo a ccasa le bbrasciole,[3]
C’era una nebbia in celo bbassa bbassa...
Lo sai, la nebbia come trova lassa:[4]
Nun pòle[5] piove, via, propio nun pòle.

  Lo capimo da noi, sora ggialloffia,[6]
Che cquanno è ttempo rosso a la calata,
Ne la matina appresso o ppiove o ssoffia.

  Io nun vedde però nne la serata
Le stelle fitte:[2] duncue, ar più, bbazzoffia[7]
Pòl’èsse oggi, ma nno bbrutta ggiornata.

Roma, 2 febbraio 1833.

  1. 1 2 Questa è una interiezione, dinotante nel caso presente che la opinione di chi parla è diversa da quella di chi ascolta, intorno al soggetto in quistione. Per pronunciarla a dovere, devesi mandare un suono dubbio, accompagnato da un leggero crollamento di capo e da una smorfia di labbra.
  2. 1 2 Le stelle dense, il sole che scotta, sono pel volgo forieri di pioggia. L’indizio delle stelle è dei due il più stupendo.
  3. Bragiuole.
  4. Lascia.
  5. Pole, talora puole, sono termini ricercati, che chi si picca di ben parlare adopera invece di può: e questo per analogia di vuole.
  6. Donna giallastra.
  7. Il bazzoffio è una specie di quid-medium.
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