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410 | Sonetti del 1833 |
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ER PARLÀ BBUFFO
“Coso, hai cosato er coso ch’er Zor Coso
Cosò jjerzera in quela cosa tonna!.„[1]
Eh a sto sciangotto[2] tuo tanto curioso
Ma cchi ddiavolo vòi che tt’arisponna?[3]
Io sce vorebbe vede[4] la Madonna
O cquarche Ssanto ppiù mmiracoloso,
Si ppotessi sbrojjà sta bbaraonna[5]
De sciarle che mme fai senza riposo.
Coso, cosa, cosato!... Ma, Vvincenza,
Come protenni[6] poi che cchi tte sente
Nun te ridi sur muso? abbi pascenza!
Come te perzuadi che la ggente
T’abbi da intenne![7] Cuant’a mmé, in cusscenza,
Nun capisco davero un accidente.[8]
Roma, 3 febbraio 1833
- ↑ Il coso, la cosa, il cosare sono belli e comodi vocaboli, che cavano assai bene d’impaccio chi ha difetto di termini: e nel discorso romano fanno una continua ed eccellente figura.
- ↑ Borbottio.
- ↑ Ti risponda.
- ↑ Ci vorrei vedere.
- ↑ Baraonda equivale a “caos, confusione.„
- ↑ Pretendi.
- ↑ Intendere.
- ↑ Nulla affatto.
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