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420 Sonetti del 1833

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L'ISTATE

  ’Na caliggine come in cuest’istate
Nu la ricorda nemmanco mi’ nonno.
Tutt’er giorno se smania, e le nottate
Beato lui chi rrequia e ppijja sonno!

  L’erbe, in campaggna, pareno abbrusciate:
Er fiume sta cche jje se vede er fonno:
Le strade sò ffornasce spalancate;
E sse dirìa[1] che vvadi[2] a ffoco er Monno.

  Nun trovi antro[3] che ccani mascilenti
Sdrajati in ’gni portone e ’ggni cortile,
Co la lingua de fora da li denti.

  Nun piove ppiù dda la mità dd’aprile:
Nun rispireno ppiù mmanco li venti...
Ah! Iddio sce scampi dar calor frebbile![4]


Roma, 8 febbraio 1833

  1. E si direbbe.
  2. Che vada.
  3. Altro.
  4. Crede il popolo, con ispavento, che giunto il calore al grado così detto febbrile, in tutti gli uomini entri la febbre.
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