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Sonetti del 1833 | 421 |
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L'AMMALATO
Nun ha ffrebbe?[1] e cche ssò[2] cquelli gricciori[3]
Che sse[4] sente oggni notte a ora tarda?
Nun sta mmale? e cche ssò cquelli colori
Ggiall’e nnero che ppare una cuccarda?
Pe’ pparte mia[5] vorebb’èsse bbusciarda,
Ma abbasta de vedé, ssori dottori,[6]
Come straluna l’occhi e ccome guarda,
Pe’ ppotejje[7] intimà: ffijjo, tu mmori.
Che sserve de passalla in comprimenti?
Je puzzava la vita?[8] e mmó la sconta,
E ll’anima la tira co’ li denti.[9]
Lui[10] le cose io le scàtolo[11] da tonta[12]
Ha ttempo mó a ppijjà[13] mmedicamenti:
Nu la rippezza[14] ppiù, nnu la ricconta.[15]
Roma, 8 febbraio 1833
- ↑ Febbre.
- ↑ Sono.
- ↑ Brividi.
- ↑ Si.
- ↑ In quanto a me.
- ↑ Questo è sempre un modo ironico.
- ↑ Poterli.
- ↑ Ciò dicesi di coloro ai quali, pel disordini che fanno, pare che sia grave la vita.
- ↑ Tirar l’anima co’ denti: trattenerla quasi tra la morte e la vita.
- ↑ I seguenti due versi sono di una costruzione o sintassi tutta volgare.
- ↑ Le butto giù.
- ↑ Con semplicità da ignorante.
- ↑ Ha bel prendere ora.
- ↑ Non la rappezza: non la rimedia.
- ↑ Non la racconta: muore.
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