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Sonetti del 1832 47

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LA CCHIESA DELL'ANGELI

  Li discorzi peccristo ch’io v’intavolo,
Sor imbriaconaccio d’acquavita
Che vve snerbate er culo ar Caravita,[1]
Nun zò ccarote[2] da fà rride un cavolo.

  Ve dico che la cchiesa ch’er zor diavolo
Sopr’a Ffuligno ha ttutta scompartita,[3]
S’ha da rifrabbicà, doppo finita
La bbasilica nostra de San Pavolo.[4]

  E ggià in un antro cuccomo der Papa
Disce[5] che sse prepareno li fonni[6]
Pe’ ffà un mijjone de fette de rapa.[7]

  Diteme che ssi er cuccomo è dde vetro
Com’er primo, c’è ’r caso che sse sfonni,
E li cocci arimanino a Ssan Pietro.[8]

21 gennaio 1832

  1. Oratorio così detto dal padre Caravita, dove la sera alcuni divoti sogliono darsi la disciplina al buio.
  2. Menzogne.
  3. Aperta in più parti.
  4. Notissima riedificazione, intrapresa con fondi largiti dai credenti dell’Orbe.
  5. Si dice.
  6. Ironia presa dalla cuccoma di caffè.
  7. Piastre.
  8. I maldicenti spargono essersi dalla Santa Sede distratti in altri usi i depositi di S. Paolo.
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