< Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
54 | Sonetti del 1832 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:64|3|0]]
ER MARITO STUFO
Un giorn’o ll’antro che pper dio sagrato
Me zompeno le verginemmaria,[1]
Pijjo er cappello e mmé ne vado via,
E mme do a la Pilotta[2] pe' ssordato.
E ddoppo disce, perché stai ’nciuffato![3]
Si ffussi un’antro in de li panni mia,
Te vorebbe lavà ssenza lesscia[4]
Cuer cucuzzone[5] sempre impimpinato.[6]
Oh ttiramola via sta carrozzetta:
Ridi, ché inzin che ddura fa vverdura;[7]
Ma nun curatte[8] de vedé la stretta.
Tu mme voressi vede in zepportura:
Ma io, monta cquassù, ppijja sta fetta:[9]
Propio l’hai trovo, l’hai, chi sse ne cura.
22 gennaio 1832
- ↑ Mi salgono i fumi, mi montano le creste, ecc.
- ↑ Sulla Piazza della Pilotta è la Congregazione Militare.
- ↑ Ingrugnato.
- ↑ Lisciva, ranno.
- ↑ Testa.
- ↑ Acconciato [con artifizio.].
- ↑ Modo proverbiale.
- ↑ Non ti curare.
- ↑ Dicendo le due precedenti frasi, si batte colla mano destra sul braccio sinistro, il quale deve correre anch’esso contro la mano: gesto un po’ turpe.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.