< Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.
2 Sonetti del 1833

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi III.djvu{{padleft:12|3|0]]

ER VENERDÌ SSANTO

  Ne la Morte de Ddio la luna e ’r zole
co la famijja bbassa de le stelle
se messeno er coruccio;[1] e ccastaggnole
s’inteseno per aria e zzaganelle.[2]

  E cquesto vonno dì cquelle mazzole
e cquelli tricchettracche e rraganelle[3]
che sse fanno, pe’ ddillo in du’ parole,
de leggno, ferro, canna, crino e ppelle.

  Er chiasso che cce fâmo[4] è stato un voto
per immità cco li su’ soni veri
cuello der temporale e ’r terramoto.

  E pperchè Ccristo è mmorto, e oggi e jjeri
vedessivo[5] arrestà ll’artare vòto
sino de carte-grolie e ccannejjeri.


Roma, 10 febbraio 1833

  1. Si misero il lutto.
  2. Due fuochi artificiali che dànno leggiere detonazioni.
  3. Strumenti, coi quali i fanciulli fanno un fragore per le vie della città.
  4. Facciamo.
  5. Vedeste.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.