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156 | Sonetti del 1834 |
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LA SCUFFIARA FRANCESA
No, a mmé cquer che mme tufa,[1] sor Luviggi,
È de sentì una scorfena bbacocca[2]
De scuffiaretta, che nun za uprì bbocca
Senza métteve[3] in culo er zu’ Pariggi.
Che ssarà sto paese de prodiggi
C’a le scuffiare guai chi jje lo tocca?
Io sce scommetteria[4] ch’è una bbicocca,[5]
Da entrà in cortile der Palazzo Ghiggi.[6]
Ma ccazzo! a Ffrancia indove sc’è una Ronzi[7]
Com’a Rroma? E ppe’ ccristo, a li romani
Tutto je se pò ddì, ffora che ggonzi.[8]
Eppuro,[9] oh bbona! st’anima sconfusa[10]
Nun va ddiscenno[11] co’ li su’ ruffiani
Che a vvedella cantà llei sce s’ammusa?![12]
23 gennaio 1834
- ↑ Tufare, per “noiare, dar disgusto.„
- ↑ Questi due vocaboli indicano entrambi una donnetta piccola e difettosa.
- ↑ Mettervi.
- ↑ Ci scommetterei.
- ↑ Il senso di questo vocabolo si discosta alquanto da ciò che suona nel dire illustre, nel quale significa “castelluzzo„ o simile. Nell’accezione romana, vale piuttosto “casupola.„
- ↑ Chigi, casa principesca di Roma, nel cui palazzo vedesi un bel cortile.
- ↑ Celebre cantante che nel carnovale 1833-34 faceva la delizia dei Romani. Vedine il Son...
- ↑ Zimbelli.
- ↑ Eppure, or bene.
- ↑ Anima stravagante.
- ↑ Dicendo.
- ↑ Oh io mi ci amuso (je m’y amuse), disse in quella circostanza una signora tornata di Francia. Avvertasi qui che ammusarsi, nei linguaggio del popolo, vale fare il muso, comporre il volto a noia e mal umore.
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