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162 | Sonetti del 1834 |
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ER DECANE[1] DER CARDINALE
A infirzà[2] cquattro sciarle pe’ ffà un laggno
Contr’a cchi è ppiù de noi, nun ce vò ggnente.
Se disce presto: lui maggna, io nun maggno:
Sò ccanzoncine che sse sanno a mmente.
Nun dubbità, ffarebbe un ber guadaggno
Su’ Eminenza a ssentì ttutta la ggente,
Che, cchi bbatte pe’ ssé cchi pp’er compaggno,
Tutti sciànno[3] da dì cquarc’accidente.[4]
Leva l’ora der pranzo e dde la scena,[5]
L’ora dela trottata e dde la messa,
La predica, l’uffizzio, la novena,
Concistori, cappelle, pinitenze,
E cquarche vvisituccia a la bbadessa;
Che ttempo ha da restà ppe’ ddà l’udienze?
8 marzo 1834
- ↑ Il decano, de’ servitori.
- ↑ Infilzare.
- ↑ Ci hanno.
- ↑ Si è detto altrove il vocabolo accidente suonare, in bocca romanesca, sinonimo di molti e molti vocaboli, non senza compartecipazione della idea di apoplessia, che è sempre ed ovunque ed a tutti augurata dai nostri buoni popolani con la massima cordialità.
- ↑ Cena.
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