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192 | Sonetti del 1834 |
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ER PORTONCINO
Caso[1] volessi uprì cquarc’ostaria
Bbisoggna sempre procurà, Ffichella,
Che llì accosto ce sii ’na portiscella,
Pe’ n’essempio, ecco llà, ccome la mia.
Questa te serve ggià per annà via:
Però la ppiù[2] rraggione de tienella[3]
È ppe’ ffà entrà la ggente in ciampanella[4]
La festa, e ccojjonà la Pulizzia.
Chi ccià[5] sta porta, se po’ ddì a ccavallo.[6]
Si ppo’[7] er fruss’e rrifrusso de la ggente
Dàssi[8] a sull’occhi e tte cojjessi[9] in fallo,
Tu nun te stà[10] a smarrì: nun ce vò ggnente.
Bbast’a ttoccà la mano[11] ar maresciallo[12]
E mmannà[13] un bariletto ar Presidente.[14]
17 marzo 1834
- ↑ Caso-mai: se mai.
- ↑ La maggior.
- ↑ Tenerla.
- ↑ In fraude. Imperocchè è legge che alla mattina de’ giorni festivi, niuna bottega (e Dio guardi le osterie ed i caffe!) possa tenersi aperta durante le ore degli uffici divini. Multe, carcerazioni ed altre pene ad arbitrio, seguono subito il fallo, sin minus, ecc.
- ↑ Ci ha.
- ↑ Essere a cavallo, vale: “aver conseguito l’intento.„
- ↑ Se poi.
- ↑ Dasse.
- ↑ Cogliesse.
- ↑ Non ti stare.
- ↑ Toccar la mano, cioè: “fargli sdrucciolare una moneta.„
- ↑ Al maresciallo de’ carabinieri, succeduti, mutato nomine, agli antichi gendarmi.
- ↑ Mandare.
- ↑ Al Presidente regionano di polizia. Anche questi quattordici magistrati sono gli eredi, mutato nomine, delle attribuzioni dei già Commissarii. Vedi il Sonetto... Così i Ricevitori son divenuti Preposti, ecc., e l’odio della cosa si è estinto sotto la mutazione del nome.
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