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Sonetti del 1834 193

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ER TORTO E LA RAGGIONE

  Aibbò,[1] nun zò[2] le ssciabbole e le spade
Che ddistingueno er torto e la raggione.
Te l’inzeggnerò io quello c’accade,
Fijjo, in ner liticà ttra ddu’ perzone.

  Chi nun ha ttorto, pò pparé un leone,
Ma ppuro in de l’urlà ccerca le strade
De vienì ar dunque, e, mmó cco un paragone
Mó cco un antro,[3] de fàtte perzuade.[4]

  Quer c’ha ttorto però strilla ppiù fforte:
Tajja a mmità[5] er discorzo e scappa via,
E in de lo scappà vvia sbatte le porte.

  In quanto all’arme poi, sò una pazzia
Per rrimette[6] ar crapiccio[7] de la sorte
Tanto la verità cche la bbuscìa.[8]

17 marzo 1834

  1. Oibò.
  2. Sono.
  3. Altro.
  4. Di farti persuadere: di persuaderti.
  5. Taglia a metà.
  6. Per rimettere.
  7. Al capriccio.
  8. Bugia.
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