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210 Sonetti del 1834

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LO STRACCIAROLO

  Lo stracciarolo a vvoi ve pare un’arte
Da fàlla[1] bbene oggnuno che la facci?
Eppuro ve so ddì, ssori cazzacci,
Che vierebbe in zaccoccia[2] a Bbonaparte.

  La fate accusì ffranca er mett’a pparte
Co un’occhiata li vetri e li ferracci,
A nnun confonne[3] mai carte co’ stracci,
E a ddivide[4] li stracci da le carte?

  Nun arrivo a ccapì ccom’a sto Monno
S’ha da sputà ssentenze in tuttequante
Le cose, senza scannajjalle a ffonno.

  Prima de dì: cquer tar Papa è un zomaro,
O cquer tar stracciarolo è un iggnorante,
Guardateli a Ssampietro e ar monnezzaro.[5]

22 marzo 1834

  1. Farla.
  2. Venire in saccorcia è fratel carnale di “entrare in tasca.„
  3. Confondere.
  4. Dividere.
  5. Chacun à sa place, direbbe il francese. Monnezzaro, per “immondezzaio„: come monnezza, per “immondezza.„
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