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222 Sonetti del 1834

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ER TESORIERE BBON'ANIMA[1]

  Monziggnor Tesoriere ch’è ccrepato,
Quanno stava a la stanga der timone[2]
E mmaggnava su ttutte le penzione,[3]
Le gabbelle, l’apparti e ’r mascinato;[4]

  Volenno[5] fà una bbona confessione
(chè da un pezzo nun z’era confessato)
Se n’aggnede[6] da un prete sganganato[7]
Drent’in ne l’Oratorio a la Missione.[8]

  Mentre sputava li su’ rospi, in chiesa
Sce se trovava un povero cristiano
C’aveva avuto un torto in ne l’Impresa.[9]

  Come st’omo che cqua[10] vvedde[11] er gabbiano[12]
Der confessore co’ la mano stesa,
“Nu l’assorve„,[13] strillò: “fferma la mano!.„

24 marzo 1834

  1. Il Tesoriere morto. Fu realmente monsignor Belisanio Cristaldi, e l’altro suggetto di cui qui sotto si parla, un tal Baracchini.
  2. Alla direzione degli affari.
  3. Pare che l’egregio prelato, a sentimento del nostro Romanesco, volesse far rivivere il Date obolum Belisario. Noi non siamo del suo maligno avviso. Crediamo però che se veramente l’antico Belisario andò orbato degli occhi del corpo, il nuovo non godesse di que’ della mente.
  4. E il macinato: dazio sulla macinatura del frumento.
  5. Volendo.
  6. Se ne andò.
  7. Sgangherato, per “decrepito.„
  8. Nell’oratorio de’ Signori della Missione.
  9. Quando si nomina assolutamente l’Impresa, s’intende a Roma sempre quella de’ Lotti.
  10. Semplicemente quest’uomo. Il che qua, che qui, sono pleonasmi usatissimi da Romaneschi.
  11. Vide.
  12. “Gabbiano„, per “balordo, gocciolone„: la dupe de’ Francesi.
  13. Non l’assolvere.
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