< Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

Sonetti del 1834 231

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi III.djvu{{padleft:241|3|0]]

ER ZIGGNORE E CCAINO

  “CAINO! indov’è Abbele?.„ E cquello muto.
“CAINO! indov’è Abbele?.„ Allora quello:
“Sete curioso voi! chi ll’ha veduto?
Che! ssò[1] er pedante io de mi’ fratello?„

  “Te lo dirò ddunqu’io, bbaron futtuto:
Sta a ffà tterra pe’ ccesci:[2] ecco indov’èllo.[3]
L’hai cuscinato[4] tù ccór tu’ cortello
Quann’io nun c’ero che jje dassi ajjuto.

  Lèvemete[5] davanti ar mi’ cospetto:
Curre p’er grobbo[6] quant’è llargo e ttonno,
Pozz’èsse[7] mille vorte mmaledetto!

  E ddoppo avé ggirato a una a una
Tutte le strade e le scittà dder monno,
Va’, ccristianaccio, a ppiaggne[8] in de la luna.„[9]

2 aprile 1834

  1. Sono.
  2. Andare a far terra per ceci: stare a far terra per ceci: morire; esser morto.
  3. Dove egli è.
  4. Cucinato: spacciato.
  5. Lèvamiti.
  6. Globo.
  7. Possa tu essere.
  8. Piagnere.
  9. Non v’ha buona madre, che non mostri a’ figliuoli la luna piena, dicendo loro: “Vedi, figlio, quella faccia? È Caino che piange.„
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.