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Sonetti del 1834 | 243 |
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L'IMPUSTURERIE
Io l’ho inzurtato?![1] io j’ho bbevuto er vino?!
Io j’ho ddato er coggnome de caroggna?!
Pò pparlà Ffrancatrippa e Ffrittellino
Si[2] st’impusturerie lui se l’inzoggna.[3]
E llui vò ammazzà a mmé? propio la roggna
Te j’ha ddato de vorta in ner boccino.[4]
M’ammazzerà ssu la piazza dell’oggna
Dov’ammazza li fii der re Ppipino.[5]
Diteje ar zor abbate Tuttibbozzi[6]
Che sse tienghi la lingua tra li denti
E ste sciarle che cqui sse l’aringozzi.[7]
Perchè sse ponnodà ccert’accidenti
C’abbi trovo er zu’ bboja che lo strozzi
Lui e le mmerde de li su’ parenti.
5 aprile 1834
- ↑ Insultato.
- ↑ Se.
- ↑ Se le sogna.
- ↑ Ti gli ha dato volta nel capo.
- ↑ Pipino, capo della dinastia terza di Francia, appartiene talora in Roma ad un’altra dinastia entomologica, che riconosce per capo e per capitale la testa dell’uomo. In breve Pipino è un pidocchio bell’e buono; e per ciò dice il nostro romanesco essere di lui figli ammazzati sulla piazza dell’unghia. E a Roma, ne’ luoghi assolatìi, se ne fa orrida strage.
- ↑ Il soprannome di Tuttibbozzi appartiene a chi sia di struttura deforme e tutta a risalti, o a chi ne abbia toccate tante che ne mostri per la vita le protuberanze. Il sor abate è una applicazione ironica del più bel distintivo del paese.
- ↑ Se le ingozzi di nuovo.
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