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Sonetti del 1834 | 257 |
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LA LÈGGE[1]
La lègge a Rroma sc’è,[2] ssori stivali:
Io nun ho ddetto mai che nun ce sia:
Ché er Governo ha ttrescent’una scanzia
Tutte zeppe de bbanni-ggenerali.[3]
E mmanco vederete caristia
D’abbati, monziggnori e ccardinali,
Giudisci de li sagri[4] tribbunali,
Da impiccavve[5] sur detto d’una spia.
La mi’ proposizzione è stata questa,
C’un ladro che ttiè a mmezzo chi ccommanna
E ccià[6] donne che ss’arzino la vesta,
Rubbassi[7] er palazzon de Propaganna,[8]
Troverete er cazzaccio[9] che l’arresta,
Ma nun trovate mai chi lo condanna.
8 aprile 1834
- ↑ Pronunziata colla e larga, come legge da leggere.
- ↑ Ci è: c’è.
- ↑ Co’ bandi-generali, leggi effimere e di circostanza, consistenti in una farragine di fogli affissi in varii secoli e sotto varii costumi, si è sino ad ora giudicato in materia criminale. L’arbitrio vi si trovava come nel suo proprio regno. Oggi però è stato pubblicato un così detto Codice criminale, i di cui beneficii si potranno riconoscere dal tempo e dalle correzioni.
- ↑ Qui tutto è sagro, anche il tribunale che condanna a morte. [“A Rome, toute chose odieuse est parée de ce nom (sacré): c'est un manteau de pourpre que l’on jette sur un hideux charnier; les prêtres finiront par appeler sacrée même la guillottine qui assassine pour leur compte.„ Pianciani, Op. cit., vol. III, pag. 265.]
- ↑ Impiccarvi.
- ↑ Ci ha, per semplicemente “ha.„
- ↑ Se rubasse anche.
- ↑ La decana delle Propagande europee.
- ↑ Lo stolido, il semplice.
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