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258 | Sonetti del 1834 |
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ER MADRIMONIO DE SCEFOLETTO
Ha ppreso mojje, sì, una bbella donna!
Nò storta, ggnente guercia, ggnente gobba...
Propio, in cusscenza mia, ’na bbona robba,
Un fioretto in zur fà[1] dde la Ghironna.[2]
È cquella che nun maggna antro che bbobba[3]
Perch’ha ddato li denti a la Madonna:
Quella che nnoi chiamàmio[4] a la Rotonna,[5]
Pe’ li cancheri sui, la ggnora Ggiobba.
Quella in perzona: quella in carn’e in ossa.
E vve pare mó a vvoi che Ccefoletto
Nun abbi trovo una furtuna grossa?
Oggnuno ar monno tiè li fini sui:
E llui tiè cquello de godesse a letto
Un fraggello che ssii tutto pe’ llui.
8 aprile 1834
- ↑ In sul fare.
- ↑ La Ghironda era una schifenzuola di vecchietta, così soprannomata dal popolaccio, che per le vie di Roma ne menava strazio, al che dava anche incentivo il carattere di lei burbanzosetto e riottoso.
- ↑ “Bobba„, minestra, per lo più di pane con miscuglio di altre sostanze, come suole essere dispensata a’ poveri alle porta de’ conventi, dopo la santa ora del refettorio.
- ↑ Chiamavamo.
- ↑ Alla Rotonda: sulla Piazza del Pantheon, rinomata per frequenza di vassallotti, chiamati panze-nere, ed anche canonici della Rotonda.
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