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Sonetti del 1834 263

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi III.djvu{{padleft:273|3|0]]10 S’intende la Cappella papale. [E quel casomai vale un Perù contro i nostri preti, i quali volevano meglio esser servitori umilissimi dell'Austria, che liberi cittadini di nazione indipendente.]      11 Ci riparliamo. [Cioè: "Ve la farà pagar cara Sua Eccellenza il mio padrone, che ricorrerà a Monsignor Governatore di Roma.,]      12 Se.      13 Quaglia-lombarda: escremento umano.      14 Cocchiere.      15 Coccarda, o, come direbbe un purista, nappa.

LA FIJJA DORMIJJONA.

  Alegria, sù[1] cch’è ttardi: animo, fòra.
T’arincressce d’arzatte[2] eh? tt’arincressce?
Vojjo propio vedé ssi tt’arïessce
De stà a lletto inzinent’[3] a vventun’ora.

  Nun zei tu er gruggno de fà la siggnora:
Chi ddorme, bbella mia, nun pijja pessce.[4]
Portronaccia, essce[5] da quer letto, essce:
Di’ l’orazzione,[6] vèstete,[7] e llavora.

  Guardate lli! nnemmanco la vergoggna!
Stà[8] a ccovà ttuttaquanta la matina,
Senz’arifrette[9] a cquer che ciabbisoggna.[10]

  Ma attacchetel’ar déto,[11] Caterina;
Ché ssi cce[12] provi ppiù, bbrutta caroggna,
Te fotto[13] a ppan e acqua ggiù in cantina.

9 aprile 1834.

  1. Sveltezza, su!
  2. Alzarti.
  3. Insino.
  4. Proverbio.
  5. Esci.
  6. Orazioni.
  7. Vestiti.
  8. Stare.
  9. Riflettere.
  10. Ci bisogna.
  11. Attaccatela al dito, vale: “sia questa l’ultima.„
  12. Chè se ci.
  13. Ti caccio ecc. È una delle consuete minacce delle buone madri alle loro cattive figliuole, che vogliono bene educare.
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