< Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.
18 Sonetti del 1833

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi III.djvu{{padleft:28|3|0]]

ER TORDO DE MONTESCITORIO

  Ecco propio er discorzo che mme tenne
Parola pe’ pparola er mi’ avocato.
“Pe rraggione, hehei! sce n’hai da venne,[1]
Ma er giudisce, che sserve?, nun c’è entrato.

  Monziggnore, fijjolo, nu l’intenne.[2]
Ma ssai che jj’ho ffatt’io? me sò appellato.
E sta’ cquieto, chè cquello che sse spenne[3]
T’ha dda èsse[4] poi tutto aringretato.„[5]

  Cqua intanto sò ttre mmesi che sse squajja;[6]
E ssi ddura accusì, ttra un antro mese
Se finissce a ddormì ssopr’a la pajja.

  Brutti affaracci er méttese[7] a st’imprese!
Si tt’incocci,[8] pòi perde[9] la bbattajja:
E, ssi tte stracchi, bbutti via le spese.


Roma, 18 febbraio 1833

  1. Vendere.
  2. Intende.
  3. Spende.
  4. Essere.
  5. Reintegrato, rimborsato.
  6. Si cava danari.
  7. Mettersi.
  8. Se ti ostini: se perseveri.
  9. Perdere.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.