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Sonetti del 1834 | 271 |
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LI TEMPI DIVERZI
Nò, Zzinforiano mio, nun è ll’istesso.
Er vive[1] allora sarà stato bbello;
Ma a sti tempi che cqui nnun è ppiù cquello,
Una vorta c’arriveno a st’accesso.[2]
Eh Zzinforiano, un pover’omo adesso
È l’affare medemo[3] d’un aggnello
Tra le granfie[4] der lupo: e ppe’ un capello[5]
V’attarfieno[6] e vv’ammolleno[7] un proscesso.
Er pane, è ccaro: er vino, un tant’a ggoccia:
La carne, Iddio ne guardi! e le gabbelle
Ve tiengheno[8] pulita la saccoccia.
Co sto bber[9] governà dde nova stampa
Che ne vonno de noi sino la pelle,
È un miracolo cqua ccome se campa.
10 aprile 1834
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