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318 Sonetti del 1834

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LA SCITTÀ ETERNA

  Gusto sce l’averebbe io,[1] sor Topaj,[2]
Che Rroma tra cqualunque priscipizzio
Campassi[3] inzino ar giorno der giudizzio
E ppuro[4] un po’ ppiù in là ssi ccasomai.[5]

  Ma ssempre ha ttorto marcio er zor don Tizzio,
Che la preposizzione[6] c’avanzai
Ner dì cche sta scittà ppò ppassà gguai,
Sii dilitto d’annàcce[7] a Ssant’Uffizzio.

  Dunque, pe’ llui, la riliggione e Rroma
Sò ddistinate inzieme a una cascata
Come cascheno l’asino e la soma?!

  Dunque la riliggione a st’abbatino
Nun je pò arregge si nun è affonnata[8]
Sopr’a Ppiazza-Navona e ar Babbuino?![9]

22 aprile 1834

  1. Ce lo avrei.
  2. Topaj, nome di famiglia romana, dalla quale dev’essere discesa l’altra de’ Topi, che mangia nello stesso granaio.
  3. Campasse.
  4. Pure.
  5. Quand’anche si voglia.
  6. Proposizione.
  7. Andarci.
  8. Se non è fondata.
  9. Due luoghi di Roma: la parte pel tutto.
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