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Sonetti del 1833 25

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LI SCARDÍNI

  Brungia![1] E cco cquella pelle de somaro,
Che sséguiti a ddormì ssi tte s’inchioda,
Fai tanto er dilicato? Ih, un freddo raro!
Nun ze trova ppiù un cane co’ la coda!

  Ma ccazzo! Semo ar mese de ggennaro:
Che spereressi?[2] de sentì la bbroda?[3]
L’inverno ha da fà ffreddo: e ttiell’a ccaro
Ch’er freddo intosta[4] l’omo e ll’arissoda.[5]

  E ss’hai ’r zangue de cìmiscia[6] in der petto,
De ggiorno sce sò[7] bbravi scardinoni
Da potette[8] arrostì ccome un porchetto;

  E dde notte sce sò ll’antri foconi
C’addoprava er re Ddàvide in ner letto
Pe’ ppijjà cco ’na fava du’ piccioni.[9]


Roma, 21 febbraio 1833

  1. Questa interiezione si adopera allorchè alcuno si pone in sullo squisito. Il vocabolo è così alterato sulla stessa alterazione volgare di bruggna (prugna) per imitare la ricercatezza o la pretensione del beffeggiato.
  2. Spereresti.
  3. Aria calda.
  4. Indurisce.
  5. Lo rassoda.
  6. Cimice.
  7. Ci sono.
  8. Poterti.
  9. Proverbio.
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