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Sonetti del 1834 423

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ER ZOR GIUVANNI DÀVIDE,[1]

  Io sciò[2] a la Valle[3] du’ coristi amichi,
Che vvonno ch’anni fa er zor Dàvide era
Un tenorone da venne in galera[4]
Tutti li galli e li capponi antichi.

  Ma ppe cquanto ho ssentito jjer’a ssera,
Me pare bben de ggiusto che sse dichi[5]
Ch’è ddiventato un vennitor de fichi,
O un chitarrinettaccio de la fiera.[6]

  Fa er nasino,[7] ha un tantin de raganella,[8]
Sfiata a ccommido suo, ggnàvola,[9] stona,
E sporcìfica er mastro de cappella.

  Quanno la vosce nun ze tiè[10] ppiù bbona,
Invesce de cantà la tarantella
Se sta a ccasa e sse disce la corona.

29 ottobre 1834

  1. [Il celebre tenore Giovanni David, nato a Napoli nel 1790, nel 1834 era già in decadenza.]
  2. Ci ho: ho.
  3. Teatro dell’opera buffa.
  4. Vendere in galera: superare.
  5. Si dica.
  6. Fiera dicesi in Roma ad una esposizione di trastulli fanciulleschi sulla pubblica via.
  7. Fa voce nasale.
  8. Rantolo. [Cfr. la nota 12 del sonetto: La bbellezza, 2 nov. 33.]
  9. x[Miagola.]
  10. Non si tiene: [non si ha].
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