< Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.
432 Sonetti del 1834

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi III.djvu{{padleft:442|3|0]]

ER PRANZO DER VICARIO

  Nun è er primo Vicario né er ziconno
Che dde viggijj’e ttempora se sbajja,
E cconfonne er merluzzo co’ la quajja,
L’arenga e ’r porco, la vitella e ’r tonno.

  Fijjo, li Cardinali de sto monno,
E ttant’antra conzimile canajja,
Tiengheno la cusscenza fatta a mmajja
Da potella stirà ccome che vvonno.

  E cquesti sò cquell’uteri[1] de vento
Che ss’ha d’accompaggnalli co’ le torce
Come fussino un antro[2] Sagramento!

  Capàsci a un pover’omo che cce storce[3]
De fasselo[4] dà in tavola ar momento
Cuscinato in guazzetto, o in agr’e ddorce.

17 novembre 1834

  1. Otri.
  2. Altro.
  3. Ci storce: ripugna.
  4. Di farselo.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.