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Sonetti del 1833 73

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LE QUATTRO TEMPORA[1]

  Sete curioso voi! Avevio[2] fame
E nnun c’era antro[3] da maggnà, nnun c’era!
Queste nun zò[4] rraggione pe’ jjerzera!
De tempora un par d’ova in ner tigame?![5]

  Nò, nnò, mmanco[6] una fetta de salame.
Iddio nun porta in mano la stadera.
Com’è rrobba provìbbita, chi spera
Ne la pochezza è un giacubbino infame.

  Vedi: si ppuro[7] avessi, padron Biascio,[8]
Le vertù dde millanta Salamoni,
Tant’e ttanto[9] ar maggnà bbiggna annà adascio.[10]

  Perchè, ffratello, in quell’antri carzoni[11]
Pesa ppiù un ovo e una grosta de cascio
Che ttutte ste Vertù dde li cojjoni.

15 agosto 1833


  1. I quattro-tempi dell’anno, cioè i digiuni e le astinenze dalle carni che la Chiesa prescrive nei giorni di mercoldì, venerdì e sabato più prossimi agli equinozii ed ai solstizii, per rendere forse benigna la natura in que’ critici momenti. Qualunque di questi dodici giorni si dice tempora: oggi è tempora, la quale voce deriva senza dubbio dalle parole quatuor tempora anni.
  2. Avevate.
  3. Non c’era altro.
  4. Non sono.
  5. Nel tegame, nella tegghia.
  6. Neppure.
  7. Se pure: quando anche.
  8. Biagio.
  9. Ad ogni modo.
  10. Bisogna andare adagio.
  11. In quell’altro mondo.
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