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Sonetti del 1833 79

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L'UDIENZA DE MONZIGGNORE

  Nun dico che nun vai[1] da Monziggnore,
Ché de raggione tu cce n’hai d’avanzo:
Dico che nun ce vai de doppo-pranzo,
Perch’è arta la pasqua,[2] Sarvatore.

  Quell’è er tempo ch’er povero siggnore
Fa un po’ de ròtti[3] sur zofà de ganzo:[4]
E llui se pijja quer tantin de scanzo[5]
Pe’ ddà[6] udienza a le pupe[7] e ffà l’amore.

  Oppuramente[8] ruzza[9] cór caggnolo,
O s’aritira in stanzia a ccontà er morto,[10]
O bbiastima[11] tra ssé dda sol’a ssolo.

  Nun ciannà[12] ddunque a or d’indiggistione,[13]
Ché la matina, è vvero, pò ddà[14] ttorto,
Ma er doppo-pranzo nun dà mmai raggione.[15]


18 ottobre 1833

  1. Che tu non vada, che non ci vada.
  2. Essere alta la Pasqua, vuol dire: “essere ubbriachi.„
  3. Rutti.
  4. Stoffa d’oro o d’argento.
  5. Intervallo di tempo.
  6. Per dare.
  7. Femine.
  8. Ovvero.
  9. Scherza.
  10. Oro sepolto.
  11. Bestemmia.
  12. Non ci andare.
  13. Indigestione, per “digestione„: scambio di voci frequente nel popolo.
  14. Può dare.
  15. Fra i molti prelati, ai quali questo sonetto può riferirsi, non possono passarsi sotto silenzio i monsignori Cioia e Capelletti, il secondo dei quali già governatore di Roma ed oggi cardinale, ed il primo divenuto Uditor della Camera da Commendatore di Santo Spirito, e fra breve cardinale anch’esso.
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