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Sonetti del 1835 | 101 |
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ER GIUSTO
Er giusto, fijji, fateve capasce,[1]
Pe’ cquanto mai sia stato peccatore,
Campa co’ la cusscenza sempre in pasce,
E spira ne le bbraccia der Ziggnore.
Vive in grazzia de tutti, e cquanno more
A ttutti li cristiani[2] je dispiasce;
E oggnuno piaggne, e ddisce co’ ddolore:
“È mmorto er giusto e in zepportura jjasce.„[3]
Mentre l’anima sua j’essce de bbocca,
Un formicaro d’angeli la pijja,
La porta in Celo, e gguai chi jje la tocca.
Li diavoli je manneno[4] saette,
E ll’angeli je danno la parijja;
E la cosa finissce in barzellette.
21 gennaio 1835
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