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Sonetti del 1834 6

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LO STUFARELLO

  Sto a spasso,[1] grazziaddio sto a spasso, Checco.
E inzin’a ttanto c’averò er tigame[2]
De bbobba[3] dar convento de le Dame
De Tor-de-Specchi, ho vvinto un terno a ssecco.[4]

  Che sserve? A la fatica io nun ciazzecco:[5]
Quasi è ppiù mmejjo de morì de fame.
E cquer fà ttutto l’anno er faleggname
Nun è vvita pe’ mmé: ppropio me secco.

  Sò stato mozzo, sempriscista, coco...
Ar fin de conti[6] [poi] me sò ddisciso
De capì cche un ber gioco dura poco.

  Uhm, quer zempre reggina è un brutto ingergo:
E nnemmanco annerebbe[7] in paradiso
  Pe’ nnun cantà in eterno er Tantummergo.

29 novembre 1834

  1. Sono disoccupato.
  2. Tegame.
  3. Minestra.
  4. Terno, ad aumento del cui premio siasi mandata tutta quella parte di posta che importava la vincita dell’ambo, che resta nullo alla vittoria.
  5. Non ci azzecco: non ci sono adatto.
  6. Alla fine.
  7. Andrei.
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