< Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

Sonetti del 1835 175

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi IV.djvu{{padleft:185|3|0]]̀

LA PADRONA BBIZZÒCA.[1]

  L’osso-duro de casa è ddonna Teta,[2]
La sorella ppiù ggranne der padrone,
Che ssagràta[3] e sse[4] mozzica le deta[5]
Si[6] la ggente nun fa ll’opere bbone.

  Disce: “Sét’ito a mmessa oggi, Larione?.„[7]
Dico: “Sì.„ “E ddove?„ “A Ssan Zimon Profeta.„
“A cche ora?„ “Un po’ ddoppo er campanone.„
“E de che ccolor’era la pianeta?„

  Allora me zompòrno,[8] e jj’arispose:[9]
“Ôh, ssa cche jj’ho da dì? Cquann’io sto a mmessa,
Sento messa e nun bado a ttante cose.

  Sarìa[10] bbella ch’er prete da l’artare
Scutrinassi[11] la robba che ss’è mmessa
La ggente! oggnuno va ccome je pare.„

16 aprile 1835

  1. [Pizzocchera.]
  2. [Teresa.]
  3. Bestemmia.
  4. Si.
  5. [Si morde]Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte le dita.
  6. Se.
  7. Ilarione.
  8. Mi saltarono.
  9. Le [gli] risposi.
  10. Sarebbe.
  11. Scrutinasse: scrutasse.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.