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178 | Sonetti del 1835 |
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L'OSTE.
1.
Lodat’Iddio![1] sto porco de diggiuno
Ce s’è llevato arfine da le coste.
Quer fà ssempre seguenzia,[2] sor don Bruno,
Je pare usanza d’annà a ggenio a un oste?
Pe’ cquarantasei ggiorni! tante poste[3]
Èsse aridotte a nun cenà ggnisuno!
So cche stasera de sol’ova toste[4]
Ggià n’ho ccotte trescent’e ssettantuno.
Nun sarebbe ppiù mmejjo ch’er Vicario[5]
Stramutassi[6] st’inzurza pinitenza
In una terza parte de rosario?
Che mmale ne vierebbe a la cusscenza?
D’annà cquarc’antra vorta ar nescessario?
Caro lei, tutto sta ccome se penza.
18 aprile 1835
- ↑ [Sia lodato Iddio!]
- ↑ Quel far sempre Sequentia sancti Evangeli sulla bocca: far crocetta: digiunare.
- ↑ [Tanti] avventori.
- ↑ Gli uovi duri che mangiansi a Pasqua di Resurrezione.
- ↑ [Il Cardinal Vicario, il quale, come i vescovi nelle diocesi, ha in Roma tra l'altre facoltà anche quella dfi regolare i digiuni e le vigilie de' fedeli.]
- ↑ Tramutasse, permutasse.
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