< Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
288 | Sonetti del 1835 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi IV.djvu{{padleft:298|3|0]]
L'UBBIDIENZA
Nò, vveh, ccristiani, nun è vvero mica
Che ppe’ ubbidì cce vò ttanta pazienza.
È un gran riposo all’omo l’ubbidienza;
E ppe’ cquesto in ner monno è ccusì antica.
Ma ssentite, ch’Iddio ve bbenedica,
Che bbella verità: er Zovrano penza,
E er zùddito esiguissce; e in conzeguenza
Oggnuno fa ppe’ ssé mmezza fatica.
E a cchi de noi sarìa venuto in testa
De pagà la dativa ariddoppiata
Si[1] er Papa nun penzava puro[2] questa?
Un essempio e ffinisco. Ar teatrino
Chi la sostiè[3] la parte ppiù ssudata?
Dite, er burattinaro o er burattino?
12 settembre 1835
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.