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438 Sonetti del 1836

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LA CARITÀ DDOMENICANA

  M’è stato detto da perzone pratiche
Che nun zempre li frati a Ssant’Uffizzio
Tutte le ggente aretiche e ssismastiche
Le sàrveno[1] coll’urtimo supprizzio.

  Ma, ssiconno li casi e le bbrammatiche,[2]
Pijjeno, per esempio, o Ccaglio o Ttizzio,
E li snèrbeno a ssangue in zu le natiche,
Pe cconvertilli e mmetteje ggiudizzio.

  Lì a sséde[3] intanto er gran Inquisitore,
Che li fa sfraggellà ppe’ llòro bbene,
Bbeve ir[4] zuo mischio[5] e ddà llode ar Ziggnore.

  “Forte, fratelli„, strilla all’aguzzini:
“libberàmo sti fijji da le pene
De l’inferno„; e cqui intiggne li grostini.

30 marzo 1836

  1. Salvano.
  2. [Secondo i casi e le prammatiche.]
  3. A sedere.
  4. Ir per “il„: sforzo di parlar gentile, dicendosi veramente dai Romaneschi IrFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte. [Cfr. la nota del sonetto: Er pranzo ecc, 6 nov. 35.]
  5. [Mescolanza: caffè e cioccolata.]
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