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148 Sonetti del 1838

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi V.djvu{{padleft:158|3|0]]possa.      4 Essere.      5 Se.      6 Signori paini. Ogni cittadino del mezzo ceto è un paino.      7 Insegnerà.      8 A rompergli.      9 Anche l’ano è a Roma detto per decenza servizio.


ER RITRATTO DER ZOR FILIPPO[1]

  N’ho vviste in vita mia de cose bbelle,
Ma ccom’e cquesta nò, pe bbio sagrato!
Sto quadro de pittura diseggnato
Nu lo farìa nemmanco Raffaelle.

  L’occhi, er naso, la tinta de la pelle,
Er modo de guardà cquann’è inciurmato...
Che sserve?, via, senza tante storielle
È er zor Filippo Zzampi spiccicato.

  So cche ss’io fussi un ladro, iddio ne scampi,
Ne l’entrà ddrento e in ner vedé cquer coso,
Direbbe:[2] “Oh ddio! c’è er zor Filippo Zzampi.„

  Perché, inzomma, la mojje ch’è la mojje,
Spesso spesso, credènnolo lo sposo,[3]
Je va a ddà bbasci indove cojje cojje.


26 maggio 1838

  1. Opera del veneto Pietro Paoletti.
  2. Direi.
  3. Sposo, pronunciato con le due o chiuse.
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