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Sonetti del 1843 187

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi V.djvu{{padleft:197|3|0]]nel senso di "Ebrei in generale,„ là dove scrisse: "Le sette de’ Rabini e de’ Badanai.„ In Toscana poi, badanai, badananai o badanaio, significano: "grida confuse di più persone:„ che i Romaneschi invece dicono tatanài.]

ER LIONFANTE.

  Pippo, annamo a Ccorèa?[1] — Per che rraggione? —
Pe vvedé sto lionfante tanto bbello. —
E a nnoi che cce ne frega[2] de vedello?
Va’ a la Minerba[3] e sfoghete, cojjone. —

  Ma ddicheno che bballa er zartarello,[4]
Sona le zzinfonie, fa ccolazzione,
Porta su la propòsscita er padrone,
Dorme, tira er cordon der campanello...

  Tiè ppoi ’na pelle, che ppe cquante bbòtte
De schioppo je sparàssino a la vita,
Nun je se pò sfonnà. — Cqueste so’ ffòtte.[5]

  L’ìmpito de ’na palla inviperita
È ccapasce a passà ppuro una bbotte,
Fussi magaraddio[6] grossa du’ dita.

19 maggio 1843

  1. [Anfiteatro Corèa, oggi "Umberto Primo.„]
  2. [Che ce ne importa.]
  3. [Perchè sulla piazza della Minerva c'è l'elefante scolpito da Ercole Ferrata, che sostiene sul dorso un obelisco egiziano.]
  4. [Il salterello: il trescone.]
  5. [Son fiabe.]
  6. [Magari dio: anche, perfino. Ma ha insieme forza di esclamazione.]
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