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274 Sonetti del 1845

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ER VOLO DE SIMOMMÀGO.

2.

  Cert’è pperò cch’è un gran Governo ingrato.
Liscenziallo accusì, ppovero Tosti!
Doppo che Ddio lo sa cquanto je costi
Sta via-crusce der zu’ tesorierato!

  Chi ha rrippezzato[1] Roma, ha rrippezzato?
Chi ha ccressciuti l’incerti ne li posti?
Chi ha ffatto tanti debbiti anniscosti,[2]
Pe sfamà ttutti e mmantené lo Stato?

  Chi ll’ha impacchiati,[3] dico, tanti artisti,
Mastri de casa, decani,[4] cucchieri,
Segretari, archidetti e ccomputisti?[5]

  Se so’ mmai viste all’antri tesorieri
Carrozze com’a llui? Se so’ mmai visti
Li scudi rotolà ccome li zzeri?

13 gennaio 1845

  1. [Rattoppato.]
  2. [V. la nota 3 del sonetto precedente.]
  3. [Da pacchia, che ha a Roma lo stesso valore che in Toscana. Se non che, mentre i Romaneschi ne han derivato questo verbo impacchià transitivo, i Toscani ne han derivato pacchiare intransitivo.]
  4. [Decani di servitori. Ma, per complimento, si dà del decano anche a un servitore qualunque.]
  5. [".... Gl' impiegati di quel dicastero gavazzavano; e quasi non contenti di esser soli a godere della dilapidazione, si erano in pochi anni quasi triplicati di numero.„ gualterio, Op. cit., vol. I pag. 161.. -".... L'erario impoveri: il disordine crebbe: molti in Roma traricchirono per usure, per appalti pubblici, per lavori fatti dal Tosti, come dicono, economicamente.„ Farini, Op. e vol. cit., pag. 131.]
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