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302 Sonetti del 1846

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LO SPOSALIZZIO DE MASTRO-L'AMMIDO[1]

  Io sposalla? a la larga! co’ cquer dritto[2]
De padre e cquela mamma ruffianona?
Io sposà cquel’arpia che ne cojjona
Più che ne sappi cojjonà un editto?

  Lei Nicola, lei Meo, lei Cacaritto,
Lei Peppantonio de Piazza-Navona!...
Nun vojjo diventà rre de corona:
Nun vojjo dì: “Ppopolo mio, sò ffritto.„

  De guai sce n’ho a bbizzeffia inzin d’adesso,
Senz’annamm’a bbuscà sto capitale
De corna e ccento accidentini appresso.

  Pe’ sgrinfia, o bbirba o nnò, psé, ppoco male;
Ma mmojje? maramao![3] Si jj’ho ppromesso,
La sposerò, mma cquanno spiga er zale.

7 gennaio 1846

  1. Mastro-l’ammido, qui applicato come nome proprio ad una persona, è una espressione che si usa quando si è piacevolmente maravigliati o non persuasi di fare una cosa; per esempio: Io sposalla? Mastro-l’ammido!
  2. Furbo, scaltro.
  3. Dio mi guardi! No davvero!
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