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Sonetti del 1837 57

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LO SCATOLARO

2.

  Io mo nun m’aricordo er come e ’r quanno
J’ho vvennuta la scatola: me scotta
De sentì cche jj’ho ffatto er contrabbanno
D’appoggiajje[1] un lavore de ricotta.

  Lo capisco pur’io che qui cc’è ddanno
Ne la scerniera; ma cchi ssa cche bbotta
Ha avuto in ner cuperchio!: l’averanno
Fatta cascà pper terra e jje s’è rrotta.

  La scatola era sana.[2] Eppoi, chi ha ll’occhi,
Quanno che ccrompa[3] l’ha da ùprì, bbèr fijjo.[4]
Er monno nun è ffatto pe’ li ssciocchi.

  Mo è sfracassata, sì: chi vve lo nega?
Ma io la marcanzia nu’[5] l’aripijjo
Una vorta ch’è usscita da bbottega.

10 febbraio 1837

  1. [D'appoggiargli: d'appiccicargli.]
  2. [Intera, non rotta.]
  3. Compra.
  4. [Bel figlio, cioè: «amico mio, caro mio,» e simili; ma s'usa sempre con un po' di superiorità o d'ironia.]
  5. Non.
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