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Sonetti del 1832 143

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ANTRI TEMPI, ANTRE CURE, ANTRI PENZIERI

  Allora, allora! Allora ero un bardasso[1]
Che tte credevo, e tte vienivo appresso.
Passò cquer temp’enèa,[2] Briscida: adesso,
Fijja, sò tturco[3] ppiù de san Tomasso.

  E ttu tte credi de portamme a spasso
Co le chiacchiere tue? De llì a un cipresso![4]
Io nun vojjo ppiù gguai: me chiamo ggesso,
Cor una mano scrivo e un’antra scasso.[5]

  Che sserve mo de sciancicà[6] un abbisso
De paternostri, e dde portatte addosso
’Na frega de corone e ’r croscefisso?

  Nun ze sapessi[7] mai c’ar gallo-rosso[8]
Te pijjassi[9] cuer po’ dde stoccafisso,[10]
Eppoi cacassi[11] du’ stronzi coll’osso![12]


Terni, 10 novembre 1832

  1. Fanciullo.
  2. Proverbio.
  3. Incredulo.
  4. A un dipresso: modo irrisorio.
  5. Modo proverbiale.
  6. Ciancicare: masticare.
  7. Non si sapesse.
  8. Insegna d’osteria.
  9. Prendesti.
  10. Stokfish: «stoccafisso, pesce affumicato»; qui in senso equivoco.
  11. Cacasti.
  12. Due bambini.
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