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152 Sonetti del 1832

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SESTO, NUN FORMICA.[1]

  Te laggni che ttu’ mojje te tormenta
E abbràccichi[2] la notte un zacco-d’ossa!
Tu ffajje sbucalà[3] men’acqua rossa,[4]
4Tiettel’a ccasa, e mmettela a ppulenta:[5]

  Eppoi vedi, peddìo!, si tte diventa
Com’una vacca o ’n’antra bbèstia grossa,
E ssi in nell’atto de dajje[6] la sbiòssa[7]
8Ce senti entrà l’u...... che cce stenta.

  Grasse, o ssecche, lo so, ssempre so’ ssciape[8]
Le mojje appett’a un po’ de pu...anella:
11Ma pe’ cqueste sce vò ffette-de-rape.[9]

  Tratanto, o ssecca o nno, ttu’ mojje è bbella;
E ssibbè[10] cche un po’ ccommido sce cape,
14Titta,[11] da’ ggrolia[12] a Ddio, fr...ete cuella.

Roma, 19 novembre 1832.



  1. Sesto preceto del Decalogo: "Non fornicare.„ [Ma il Romanesco ci associa l’idea di formica.]
  2. Da abbraccicare, cioè “abbracciare.„
  3. Votar boccali.
  4. Vino.
  5. Comunissima usanza di chi vuole ingrassare.
  6. [Dargli]: darle.
  7. Assalto. [V. la nota 5 del sonetto precedente.]
  8. [Scipite.]
  9. Piastre, le quali monete per la figura e colore somigliano ecc.
  10. Sebbene.
  11. [Bista, Giambattista.]
  12. Gloria.
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