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Sonetti del 1832 173

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ER MOSTRO DE NATURA

  Che vvòi che sseguitassi! Antre campane
Sce vonno, sor Mattia, pe’ cquer batocco!
L’ho ssentit’io ch’edèra[1] in nel’imbocco!
Ma ffréghelo, per dio, che uscello cane!

  Va ccosa ha d’accadé mmó a le puttane!,
De sentimme bbruscià cquanno me tocco!
Si è ttanto er companatico ch’er pane,
Cqua ssemo a la viggija[2] de San Rocco.[3]

  N’ho ssentiti d’uscelli in vita mia:
Ma cquanno m’entrò in corpo quer tortore[4]
Me sce fesce strillà Ggesummaria!

  Madonna mia der Carmine, che orrore!
Cosa da facce[5] un zarto[6] e scappà vvia.
Ma nun me frega[7] ppiù sto Monzignore.


Roma, 9 dicembre 1832

  1. Cos’era.
  2. Vigilia.
  3. Nell’ospizio annesso alla chiesa di S. Rocco si raccolgono le donne prossime ai parti di contrabbando.
  4. Tortore è in Roma «un ramo d’albero troncato in misura giusta per ardere nei camini».
  5. Farci.
  6. Salto.
  7. Non mi corbella, non mi ci prende più.
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