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182 Sonetti del 1832

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L'OMO DE MONNO

  Pe’ cquante case ch’io me sii ggirate,
Fascenno er zervitore, inzino a mmone,[1]
Ho vviduto pe’ ttutto le padrone
’Gnisempre o bbuggiarone, o bbuggiarate.

  Le zitelle, o da poco maritate,
L’ho vvidute oggnisempre bbuggiarone:
Ma ppoi, passato er tempo der cojjone,
L’ho vvidute oggnisempre cojjonate.

  Tu gguarda cqui ar cammino sta spidiera,[2]
Che ggira e ggira e ffa ssempre un lavoro:
Cusì vva pe’ le donne a una maggnera.

  Sin che cc’è ggioventù, l’argento e ll’oro
Se lo pijjeno a ppeso de stadera:
Cuanno sò vvecchie poi pagheno lòro.[3]


Roma, 14 dicembre 1832

  1. Mo: ora.
  2. Schidione, spiedo a ruote e peso.
  3. Con l’o aperta.
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