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Sonetti del 1830 11

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NUNZIATA E ’R CAPORALE;
O CONTÈNTETE DE L’ONESTO.

  Titta, lasseme annà:[1] che! nun te bbasta
De scolà er nerbo cincue vorte e mezza?
Vò’ un bascio? tiello:[2] vòi n’antra carezza?
4Ahà! da capo cór tastamme! oh ttasta.

  Ma tte stai fermo? Mica so’ dde pasta,
Che mme smaneggi: mica so’ mmonnezza.[3]
Me farai diventà ’na pera-mezza![4]
8Eppuro té n’ho data una catasta![5]

  E per un giulio[6] tutto sto strapazzo?
Ma si mme vedi ppiù pe’ ppiazza Sora[7]....
11Oh vvia, famme cropì, cc’ho ffreddo, c....!

  Manco male! Oh mmo ppaga. Uh, ancora tremo!
Addio: làsseme annà a le quarantora,[8]
14E öggi,[9] si Ddio vò,[10] cciarivedémo.

Roma, 14 febbraio 1830.



  1. [Bista, Giambattista, lasciami andare, lasciami in pace.]
  2. Tienilo.
  3. Immondezza.
  4. Mézza, colle due z aspre; cioè: “pera-vizza.„
  5. Una quantità grande.
  6. [Un paolo, poco più di mezza lira delle nostre.]
  7. Il palazzo già dei Duchi di Sora serve oggi di caserma.
  8. La esposizione pubblica e continua della Eucaristia in tante chiese a ciò destinate. Le donne, di qualunque natura, sono divotissime di questa funzione.
  9. Oggi significa sempre: “dopo il pranzo.„ [No: oltre al significare “dopo il pranzo,„ cioè “le ore dal mezzodì al tramonto,„ significa pure: “questo presente giorno.„ E l’uno e l’altro significato sono vivissimi
    anche in Toscana.]
  10. Cristiana uniformazione alle disposizioni del Cielo sugli eventi futuri, che le buone genti di Roma non pretermettono mai parlando di azioni che meditano.
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