< Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.
232 Sonetti del 1833

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi VI.djvu{{padleft:242|3|0]]

UN CONTO ARTO-ARTO[1]

  È de fede c’appena una cratura[2]
Scappa for da la picchia,[3] er Padr’eterno
La mette a nnavigà ssott’ar governo
D’un Angelo e dd’un diavolo addrittura.[4]

  Uno de loro st’anima prucura
De dàlla[5] ar paradiso, uno a l’inferno,
Sin che sse vedi[6] chi gguadaggna er terno[7]
Ner giorno che vva er corpo in zepportura.

  Liticàtase l’anima ar giudizzio,
Oggnuno de li dua serra bbottega,[8]
Pe’ nun rifà mmai ppiù sto bbell’uffizzio.

  Oh mmò ttira li conti, amico mio,
Sopr’ar Gener’umano, e vva’ cche ffrega[9]
D’angeli e dde demoni ha ffatt’Iddio!


Terni, 29 maggio 1833

  1. Alto-alto: approssimativo.
  2. Creatura.
  3. Nome da aggiungersi a quelli del Sonetto...
  4. A dirittura, subito.
  5. Di darla.
  6. Sin che si veda.
  7. Chi vince la prova.
  8. Cessa dalle sue funzioni.
  9. E guarda che quantità.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.