< Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

Sonetti del 1834 245

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi VI.djvu{{padleft:255|3|0]]

LA MOJJE FEDELE.

  E aricacchia![1] Dall’antra[2] sittimana
Ch’è rriannato[3] in campaggna mi’ marito,
Viè[4] cquer brutto pivetto[5] intirrizzito
Tutte le notte a bbatteme[6] la diana.

  Oh ccazzo! e cche ssarò? cquarche pputtana
Che ttira er zalissceggne[7] per invito?
Nò, cojjone, sta’ llì, mmore[8] ingriggnito,[9]
Sin c’aritorni a scòla a la campana.[10]

  Ôh, sserra la finestra, Ggiuvacchino,
Ch’io mommó[11] ddo de piccio[12] ar pitaletto
E l’ammollo per dio come un purcino.

  Che sse vadi a ffà fotte sto pivetto;
E nnoi, tratanto che llui fa er zordino,[13]
Spojjamosce de presscia[14] e annàmo[15] a lletto.

14 marzo 1834

  1. Ricacchiare: «rigermogliare»; qui per «ritornare».
  2. Dall’altra.
  3. Riandato.
  4. Viene.
  5. Pivetto, nome di scherno che si dà ai garzoni, specialmente a quelli che affettano modi virili.
  6. Battermi.
  7. Il saliscendo.
  8. Muori.
  9. Ingrignito esprime quella certa contrazione di muscoli e tendini, che si osserva negli assiderati.
  10. Cioè: «al suono della campana».
  11. Or ora.
  12. Do di mano.
  13. Fare il sordino: chiamare con un sottilissimo sibilo, siccome usano fra loro gli amanti.
  14. Spogliamoci di fretta.
  15. Andiamo.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.