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256 | Sonetti del 1834 |
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1.
Gran nove! La padrona e cquer Contino
Scopa de la scittà, spia der Governo,
Ar zòlito a ttre ora se chiuderno
A ddì er zanto rosario in cammerino.
«Ebbè», cominciò llei cór zu’ voscino,
«sta vorta sola, e ppoi mai ppiù in eterno».
«E cche! avete pavura de l’inferno?»,
J’arisponneva lui pianin pianino.
«L’inferno è un’invenzion de preti e ffrati
Pe ttirà nne la rete li merlotti,
Ma nnò cquelli che ssò[3] spreggiudicati».
Fin qui intesi parlà: poi laggni, fiotti,
Mezze-vosce, sospiri soffogati...
Cos’averanno fatto, eh ggiuvenotti?[4]
29 aprile 1834
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