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260 Sonetti del 1834

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ER RE FFIORDINANNO[1]

  È aritornato a Rroma sto malanno
Der re der reggno de le du’ Sscescijje,[2]
Nipote de quel’antro Fiordinanno
Che ccottivava[3] li merluzzi e ttrijje.[4]

  E ccià[5] cco llui[6] la mojje sua, quer panno
Lavato,[7] che nun fa ffijji, né ffijje,
Perchè er marito j’arigàla[8] oggn’anno
Trescenzessantascinqu’o ssei viggijje.[9]

  Tu me dimannerai pe’ cche mmotivo
Lui la tiè ttrenta e ttrentun giorno ar mese
Senza métteje[10] in corpo er zemprevivo.

  A sta dimanna io t’arisponno, Antonia,
Quer c’hanno scritto ar Palazzo Fernese:[11]
“Casa der Babbilano[12] in Babbilonia.„[13]

18 maggio 1834

  1. Ferdinando. Passò in Roma la settimana santa del 1834.[V. il sonetto: Er Re ecc., 23 mar. 34.]
  2. Cecilie, per «Sicilie», molto vicino vocabolo all’antico Cicilie.
  3. Di questo verbo vedi la nota...[1] del Sonetto...[Er cottivo], 11 genn. 45]
  4. Si narra che Ferdinando, IV, III e I, avo del Re attuale, si dilettasse di fare pubblicamente il pesciaiuolo, e che una volta, nel calore simulato di un certo contratto con un suo cortegiano, si prendesse un pesce sul muso.
  5. Ci ha.
  6. Con sé.
  7. Panno-lavato, dicesi di persona assai pallida.
  8. Gli (le) regala.
  9. Come narra Boccaccio di ser Ricciardo da Chinzica alla sua bella pisana.
  10. Mettergli, per «metterle».
  11. Palazzo Farnese in Roma, appartenente alla casa di Napoli.
  12. Babilano: uomo impotente a generare.
  13. Si vuole che realmente si trovasse questa satira alla porta del palazzo. Babilonia prendesi per “confusione,„ come Babel. Si vuole che Roma sia significata nell’Apocalisse sotto questa allegoria: e quindi molti scrittori così la chiamarono.
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