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268 | Sonetti del 1834 |
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L'ARISPOSTA DE TÈTA.
La matina de Pasqua Bbefania,[1]
Ar Nome de Ggesù,[2] ddoppo avé intesa
L’urtima messa, in ne l’usscì da cchiesa
Incontrai Teta che vvieniva via.
Me je fo avanti co’ la fiacca[3] mia:
«Ebbè? ccome ve va, ssora Terresa?
Dico, nun ve l’avete[4] pe’ un’offesa,
V’è gguarita la tale ammalatia?».
Azzeccatesce[5] un po’, ppe’ ccristo d’oro!
La sora Terresina ebbe la cacca[6]
D’arisponne[7] accusì: «Sto ccom’un toro».
Mentre che ppe’ rraggion de la patacca[8]
Pare che, essenno femmina, er decoro
Je dovessi[9] fà ddì:[10] ccom’una vacca.
18 gennaio 1835
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